giovedì 30 gennaio 2014

Metti che sia passato un anno...


We're A Happy Family

Ogni tanto bisogna fare un sforzo per socializzare, per non chiudersi ai rapporti umani e mantenere viva la mondanità all'interno della propria quotidianità...

Io personalmente non ne sento l'esigenza.
Sono tendenzialmente asociale e scontroso, e soprattutto ho una profonda refrattarietà ai condizionamenti che comportano le relazioni umane.
Consapevole di questo mio "difetto", ho accettato la proposta della mia inquieta dolce metà per una cena in famiglia, anche se ad inizio settimana, con i rispettivi fratelli e famiglie.

I presupposti potrebbero sembrare allettanti... per chi non conosce la nostra famiglia.

Arrivo a casa quasi alle sette, speranzoso che sia tutto quasi pronto (solo pizze fatte in casa per cena), e che ci sia tempo per prepararci con relativa calma.
Invece, come sempre, siamo in ritardissimo, c'è ancora tutto da fare e il livello di ansia in casa ha raggiunto il livello di allarme Defcon5.

Mio cognato, è arrivato quasi per merenda, essendo sempre in cerca di un posto in cui accozzarsi.
"ZioRain" e la sua moglie straniera sembrano un po' usciti da un sit-com demenzial-grottesca: lui sempre in preda a paranoie e crisi depressivo/compulsive, lei totalmente fuori da questa società. E il fatto che non si degni molto di imparare a parlare un italiano decente non aiuta l'integrazione.

Io, per anestetizzarmi, mi sono preparato un Americano bello corposo, in modo da attenuare il tono monotono e continuativo delle lamentele di ZioRain mentre preparavo le pizze:

-Ma te è mai capitato che un tuo amico ti tirasse un pugno solo perché è ubriaco? eh? eh? adesso la mascella scricchiola senti senti a te scricchiola ?
-beh... non direi
-Io se faccio così la sento muovere e adesso come faccio? basta io non lo chiamo più è proprio un coglione senti la mia mascella guarda se faccio cosà si blocca...
-Magari smetterla di frequentare tutti i disadattati della zona aiuterebbe la tua mascella, non credi?

 E intanto (Bisogna sovrapporre i dialoghi) sua moglie, appollaiata davanti alla televisione su cui scorreva il salvaschermo del Pc:

-Metti Bonolis
-Non c'è la televisione, è solo il computer
-Ma metti Bonolis
-Bonolis è una merda, al massimo ho il TG3 in streaming con le notizie del Trentino, che per chi vive in Piemonte sono molto utili.
-Uh. E come fate senza televisione?
-Si parla, c'è la musica... dovresti provare
-Uh.

Sento le urla della piccola che viene cambiata di sopra, e Mr. P bagnato e puzzolente come non mai che cerca di arrampicarsi sulla porta finestra per entrare lasciando impronte fangose sul vetro.
Devono ancora arriva mio fratello, mia cognata e il mio piccolo nipotino. Stiamo solo scaldando i motori...


Dio benedica il Campari e il Martini.











lunedì 27 gennaio 2014

Memorie

A molti sembra quasi fantascienza, allo stesso livello di un ritorno alle lotte tra gladiatori al Colosseo, eppure io continuo a sentire l’alito di quest’ombra sempre dietro l’angolo.

 Ombra, è il termine che più si confà a questa sensazione. Come è possibile che intere nazioni e popoli vengano travolti da questa mancanza di umanità? Da questa voglia di violenza e di crudeltà verso gli altri uomini?
Come è possibile che tutto avvenga nella quasi totale indifferenza?
E’ come se qualcosa calasse sul mondo, spegnendo la speranza, la compassione e la fratellanza tra gli esseri umani.

 Io ho sempre avuto un’istintiva repulsione e paura della violenza.

Quand’ero bambino, intorno ai sei anni, mi ricordo che avevo una stranissima paura ad incontrare persone più grandi di me in posti isolati (e io vivevo in posti piuttosto isolati ed ero abbastanza vagabondo).
Non si trattava della televisione o cose sentite dire, infatti non avevo paura di essere rapito, ammazzato o violentato. Avevo solo paura della violenza e della cattiveria gratuita, del fatto che quelle persone, per divertimento, potesse darmi fastidio, “torturarmi”.
Crescendo, quelle mie paure mi hanno sempre più stupito per la loro irrazionalità da un lato, ma per la loro consapevolezza dall’altro.

E’ come se conoscessi qualcosa, qualcosa che per fortuna in questa vita non ho mai visto, ma di cui è rimasta traccia dentro di me.

Non sono un santo, riesco ad immaginare la violenza e spesso sono tentato di manifestarla.  Ma ne vedo la causa e il fine, e il limite è sempre basso.
Quello invece che non riesco a tollerare (e non lo dico in senso metaforico, o intellettuale,  è proprio il mio organismo che si chiude, si blocca) è la violenza gratuita e sistematica, l’esplosione improvvisa di qualcosa totalmente scollegato e disinteressato dalla ragione.

 Ricordo qualche anno fa, all’uscito di un cinema , quando mi è capitato di incrociare nel parcheggio una famiglia: mamma, papà e due figli.
Una bella famiglia. Lui un bell’uomo distinto sulla quarantina, alto, almeno 1 e 90, fisico importante e aspetto curato. La moglie una bella donna più o meno della stessa età, anche lei alta e dall’aspetto curato e ricercato.
Stavano discutendo, lei gli diceva qualcosa, recriminava o non so cosa, lui all’improvviso è esploso, avventandosi verso di lei  trattenendo a stento un pugno e urlandole insulti.
I bambini si sono messi a piangere, e poi tutti e quattro sono spariti dalla mia visuale.
L’immagine di quella manifestazione di forza fisica, contrapposta alla totale impotenza e rassegnazione di lei, mi ha lasciato frastornato e con la bocca dello stomaco contratta.
Sono passati diversi anni, ma il malessere che mi procura quella visione rimane intatto.

Però voglio far di tutto per non dimenticarlo mai, per ricordare queste cose in modo da riconoscerle sempre meglio e sempre prima, e non permettere che entrino a far parte della mia vita.

E in fondo è questo il segreto per non far diffondere l’ombra: essere tutti i giorni attenti e meticolosi nella cura del nostro piccolo lumino

mercoledì 22 gennaio 2014

Disease...


L’epidemia virulenta di influenza ha travolto tutta la mia famiglia (genitori, suoceri, cognati nipoti) e alla fine ha beccato pure me.
 
Beh, speravo di battere il record arrivando a 40 anni senza mai essermi beccato l’influenza intestinale, ma ho fallito ad una manciata di anni dall’impresa.
Una cosa molto leggera, qualche crampo allo stomaco e poche linee di febbre, ma comunque ha vinto lei.
La cosa bella è che mi sono goduto due giorni di totale relax a casa, staccando completamente la testa dal lavoro e vivendo in simbiosi con mia figlia.

Lunedì mi sono alzato dopo aver trascorso in pratica ventiquattr’ore nel letto, e mentre la mamma andava in città a fare cose di mamme, io e la piccola ce ne siamo stati chiusi in casa a farci le nostre cose: cacca insieme uno di fronte all’altra (perché è importante condividere ogni aspetto della vita), lavaggio di noi stessi (e fondamentalmente di tutto il bagno), colazione a tre insieme a Mr.P ( il nostro cane puzzone e dispensatore di peli che, fin troppo presto, ha imparato che stare nelle vicinanza di una cucciola umana è come aver trovato una fonte inesauribile di cibo) e infine giro per il paesello con carrozzina e guinzaglio  approfittando di un’inaspettata giornata dal clima primaverile.

Si avverte tantissimo la differenza quando trascorriamo due o tre giorni insieme, magari solo io e lei come nel caso di lunedì. Di solito, quando arrivo la sera dal lavoro, c’è sempre un po’ di “imbarazzo” da parte sua, e ad ogni crisi o disagio la priorità è la mamma, o addirittura la nonna quando ha passato il pomeriggio con lei.
Invece in questi due giorni c’era quasi parità tra mamma e papà, e addirittura dalla nonna non voleva neanche stare quando l’ho portata per poter fare una commissione.
In questi momenti ci si rende conti di quanto sia importante il tempo trascorso con loro, perché le sensazioni più belle dello stare insieme si costruiscono poco per volta, con un contatto continuo. Invece, quando c’è una allontanamento, per molti aspetti si “torna indietro”, e dopo bisogna ricostruire quella familiarità profonda che permette di godersi appieno la loro compagnia.

Giusto dopo queste riflessioni, mi tocca partire per una due giorni in terra Altoatesina, in mezzo a quei simpatici compatrioti che si rifiutano di parlare italiano.
Pazienza, in effetti un po’ di svago in hotel e una notte in un letto tutto mio senza risvegli improvvisi ci sta bene...

...saprò far di necessità virtù (magari senza troppi virtuosismi)


venerdì 10 gennaio 2014

Happy New Year

Alla fine sto cominciando ad abituarmi al peso di questo nuovo anno calzato addosso.

Il lavoro piano piano riprende i normali ritmi, ricominciano le varie attività "extra", e soprattutto la mente corre a progetti primaverili ed estivi, scacciando la tristezza di una giornata passata senza vedere il sole (no no, non lavoro oltre il circolo polare artico, ma anche nel Nord Italia ci sono posti che a dicembre e gennaio non vedono mai spuntare il sole!)

L'inizio di questo duemilaquattordici è stato positivo...
Una bella cena tra amici e bimbi (tre coppie con tre bimbi nati l'anno appena trascorso). 
Una primo dell'anno passato dentro e fuori dal letto, grazie anche al supporto di pazienti nonni baby sitter.
Ultimi giorni di vacanza benedetti da neve e sole e trascorsi tra passeggiate in montagna e lunghe sessioni di cucina casalinga.

Del resto questi ultimi due anni sono stati molto positivi... e come potrebbe essere altrimenti?
Un duemilaododici benedetto da quel fatidico test di gravidanza positivo, dopo quattro anni di alti e bassi, e di ricerche inconcludenti.
Un duemilatredici faticoso, ma che  ha portato il più bel dono della mia vita.

Diciamo che sto attraversando una fase di raccolto, abbastanza proficua anche, dopo aver passato un lungo periodo di "semina", caratterizzato da duro lavoro, grandi pazzie e colpi di testa, qualche delusione e qualche duro colpo, ma senza mai perdere di vista la meta finale e la voglia di concretizzare il lavoro.

E adesso?
Per cosa si semina?

Forse adesso la sfida è ancora più grande, perché in gioco non c'è più la mia crescita ma quella di mia figlia, e sapere che una buona parte della stabilità della sua futura vita dipende dalle mie azioni nei giorni avvenire mi crea un po' di ansia

Ma poi alla fine mi dà forza la certezza che quando c'è l'amore, e quando questo è rinnovato e dimostrato giorno dopo giorno, tutte le difficoltà e tutti gli errori perdono di importanza, e ogni cosa diventa più diventa più facile.




E adesso un po' di musica, del ritmo giusto e dell'anno giusto...
Quanta bella musica in questo anno passato?
Sto ancora cercando di raggrupparla e digerirla al meglio, ma le cose belle sono davvero troppe, e già le nuove uscite dell'anno si stanno affacciando!











martedì 7 gennaio 2014

L'immagine e l'eco

Bellissima giornata in una Torino caotica e un po' malinconica in questa chiusura di feste.

Fuori, strade e negozi stracolmi di una fiumana di gente variegata (o forse, a ben guardare, fin troppo uniforme). Dentro Palazzo Reale, un silenzio e un'atmosfera unica davanti alle opere di Werner Bischof.

Adoro questi autori, i primi e gli ultimi di una generazione di fotografi che ha cambiato il modo di vedere le cose, e che riesce a ricordarci ancora che il valore delle cose va oltre la frenesia del momento e la superficialità delle considerazioni.

Ho assaporato ogni stampa come se dovessi disperatamente raccogliere e far tesoro delle emozioni che sapevano dare...la perfezione nelle infinite sfumature di nero e di bianco; l'arte sublime del cogliere la luce ed usarla come pennello; i dettagli rubati e perfettamente conservati di mondi ed epoche passate, ma che tornano vive e attuali nelle paure del nostro presente.

Arrivato di fronte a questa...


... la vista mi si è offuscata e ho dovuto allontanarmi un attimo dalla gente con la testa bassa.


La mia piccola dormiva nel marsupio stretta al petto della mamma, tranquilla e serena in questi giorni dolci e leggeri passati tutti insieme.
A volte però è così difficile scacciare le paure per il futuro che ci attende, soprattutto quando inizia un nuovo anno.

venerdì 3 gennaio 2014

Di Viaggi e di Partenze


Forse è giusto così…

Le mamme hanno nove mesi per entrare in simbiosi con il figlio che portano in grembo e per accettare la loro nuova dimensione.
Ne sentono il contatto giorno dopo giorno, sentono il proprio corpo cambiare forma insieme a lui.


Noi uomini invece siamo un po’ tagliati fuori in questa fase.

Ci manca il contatto diretto con il piccolo, la reale percezione di quello che sta succedendo. Se penso all’immagine di lei incinta, la vedo come fissa in un dipinto realista dell’ ottocento, perfetta nei dettagli, con le curve nette e le sfumature di colore calde ed avvolgenti. Su viso un sorriso ed un espressione di profonda intesa, come di un dialogo intimo e silenzioso che si consuma all’oscuro del resto del mondo.

Ma io  sono solo uno spettatore.

Coinvolto, completamente rapito dall’opera d’arte, però conscio di non esserne parte.
Poi arrivano i secondi nove mesi, e forse questo è veramente il nostro momento. Il momento per maturare la nostra coscienza di padri, coltivare e affinare il rapporto con questa nuova creatura.

E anche loro forse lo sanno...

La mia piccola ha da poco compiuto nove mesi,  completato quindi quella che definisco eso-gestazione, e da pochi giorni ha cominciato a pronunciare “Papà”. A volte scandendolo bene, il più delle volte farfugliando solo un “abà”, ma ogni volta facendolo coscientemente  verso di me.
E io mi rendo conto che in questi nove mesi la difficoltà più grande per me è stata proprio quella di entrare appieno in questo mio nuovo ruolo. Vincere il conflitto tra la mia vita precedente e quella attuale, nella quale ritmi e priorità sono stati completamenti stravolti e rivisitati.
Non penso assolutamente che le difficoltà più grandi siano ormai passate, ma quello che mi stupisce è che adesso, quando penso ai miei programmi futuri, vedo principalmente al centro di tutto mia figlia e lo stare con lei. Tutto il resto è di secondaria importanza.
I primi mesi invece rimaneva l’urgenza di proseguire con la solita vita, quasi come se la nascita di un figlio fosse solo una parentesi nella vita di tutti i giorni.
Questo ha creato qualche frustrazione e qualche momento di tensione in casa.
Ma credo che anche a noi padri debba essere concesso di poter cambiare e coltivare in noi il nostro nuovo ruolo. Con errori e sofferenza certo, perché se il cambiamento non porta sofferenza non è un vero cambiamento.


In fondo sono un viaggiatore, abituato a lasciar correre i pensieri dove la vita reale spesso non va.
Poi una piccola viaggiatrice è salita qui di fianco a me, facendomi distogliere lo sguardo inquieto dall’orizzonte, per godermi semplicemente la sua compagnia,  apprezzando il nostro viaggio per quei piccoli e semplici momenti di cui si compone, magari anche (o per fortuna) senza ben sapere dove il vento ci stia portando.


Quindi...buon viaggio.